Lui è il demone, lei, piacevolmente pazza, è ‘La  coraggiosa trapezista’ che sfiora con le dita le proprie acrobazie del divenire. Italia 2020, quarantena.

Suona la sveglia, nove e mezzo della mattina. Oggi mi alzo un poco prima, anche se siamo in quarantena, non lavoro, non vado all’università. Eppure il sole mangia ancora le ore, anche quando si nasconde. Ho appena finito di leggere un libro, parla di una comune donna, potrei essere io, la quale si trova a portare a casa il vecchio cane del suo professore, nonché amico, suicida. Un nuovo compagno, peloso, malinconico, fedele. Racconta in prima persona come distruggere la pagina bianca. Un invito performativo infine.
Ora ho del tempo e non posso più fermarmi, ci sono centinaia di facciate pronte e a restituirmi un pezzetto di vita, che un tempo fu altrui, che oggi potrebbe essere mio. E il mio taccuino resta silenzioso e paziente dentro al comodino. Non mi fa pressioni e questo mi innervosisce ancora di più.
Tuttavia ho ancora un po’ di sonno, non mi farò del male se spengo questa melodia d’allerta e me ne resto ancora qualche minuto al sicuro sotto il piumone. Inoltre c’era quel bel ragazzo così gentile e quella maestosa nave che mi aspettava, forse potrei riuscire a raggiungerli nuovamente. Questo però non è il porto dove mi trovavo prima, non conosco nessuno qui. Ho una strana sensazione, non mi sento assolutamente al sicuro e tutto appare così tenebroso. Riesco a percepire un’agitazione nell’aria, eppure nessun movimento eccessivo. Ecco la nave sta salpando e il mare è mosso. Altre persone hanno paura, qualcuno deve mantenere la calma. Salto in acqua, afferro la cima di una corda che penzola dalla prua e mi faccio trascinare tra le onde. Non è poi così doloroso o difficile, devo solo impegnarmi a tenere le mani ben strette, possiamo farcela. Con veemenza vengo spinta sotto, trattengo il respiro fino a risalire. Non mollo la fune e infine respiro di nuovo, vedo il sole.

“Dovresti farti esorcizzare”

Quasi le undici. Resto immobile qualche istante mentre osservo i raggi di luce entrare dalla finestra e Leon mi osserva scodinzolando, speranzoso sia arrivata finalmente l’ora del buongiorno. Qualche carezza e amorevolezza. Avverto la sua gioia, il mio essere il suo di sogno anche se non dorme. Un calore mi pervade i sensi e mi riconosco perfetta, nei suoi occhi.
“Fai piano, sennò si sveglierà”. Un poco di saliva in gola, una tossita e il sole si spegne. Assisto inerme alla mia fragilità dinnanzi a lui, mentre delle parole come lame squartano la mia compiutezza. Assestate bene, ancora disarmata, neanche il tempo d’indossare le mie difese e crolla la mia identità. Nella sua bocca uno specchio distorto, nella mia reazione un’isteria di confusione.
“Dovresti farti esorcizzare”. Con un’aria di sufficienza piazza il colpo mortale. Probabilmente ha ragione: non posso riconoscermi, non riesco a trovarmi, qualcosa ha preso il controllo di me. Non domino e non condivido le mie risposte. La rabbia mi trasfigura. Io una strega. Lui un demone.
Contrastarlo genera ira e il furore è il suo ossigeno. Si nutre di bile e si rallegra della rovina altrui. La sua caduta è perpetua e vive di forza magnetica.
Chi non vuol più risalire rimpianga sé stesso e si allieti in solitudine, schiacciato dalla personale pesantezza ma non prosciughi come una parassita la virtù altrui. La forza dell’amore è redentrice, danza sotto il sole e nella notte illuminata di luce propria. Non fa schiavi o umili servitori ma coraggiosi trapezisti che sfiorano con le dita gli accennati appoggi della vita per rinvigorire le proprie acrobazie del divenire.
Esco dalla porta, guinzaglio alla mano, dritti verso il parco. Piangere, dice, è accondiscendenza e consapevolezza di essere nel torto. Trattengo le lacrime fino a quando non sarò abbastanza lontana.
Potrebbe essere vero, la sua è la sanità, quella vera, di quella verità che il patriarcato ha marchiato nel dizionario.
Allora io, penso, sono piacevolmente pazza.


– L’autrice ha scelto di restare anonima

Dalla stessa autrice: Uccidete l’uomo ragno


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