Nel 1974, in Italia, ci fu un referendum che proponeva di abrogare la legge istitutiva del divorzio del 1970. Vinsero i no. “Voglio il divorzio!”è la storia di Michela, Torino, anno 1975.

..Quello che ricordo di quella giornata è che ero molto decisa, gliel’ho detto una sera dopo cena, d’impeto, con tono risoluto, mentre lavavo i piatti:
Voglio il divorzio, te ne devi andare da questa casa, non riesco più sopportare questa situazione, io non faccio niente di male e tu continui ad accusarmi di tradirti. Basta, ne ho abbastanza.”

Ero terrorizzata dalla possibile reazione violenta di mio marito, ne avevo sperimentate molte in quegli ultimi anni. Ero nello stesso tempo orgogliosa di me stessa e scombussolata da quella situazione strana, avevo trovato il coraggio, non so dove. Era passato solo un anno da quando avevo votato anche io con il mio NO al referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio che mi avrebbe dato la possibilità, adesso, di uscire da quell’incubo.

La goccia che fece traboccare il vaso

Nei giorni precedenti, avevo portato la mia bambina in montagna insieme a mio figlio, avevo approfittato del fatto che lei avesse assoluta necessità di respirare aria pulita per farle passare la tosse, ci restammo per poco tempo. In realtà la ragione era la nostra urgente necessità di ‘disintossicarci’ da quell’aria opprimente che si respirava in quella casa piena di sospetti, insicurezze, rabbia e paura. Quella piccola vacanza è stata la goccia che fece ‘traboccare il vaso’… Al nostro rientro dalla montagna lui aveva fatto una delle sue solite scenate, mi aveva scaraventato addosso le sue solite accuse infamanti e infondate: “Chissà cos’hai fatto con gli uomini che c’erano là, eh, fuori dal mio controllo, mentre io ero a lavorare chissà con chi sei stata!“.
Lui non immaginava che quei giorni mi erano serviti appunto per riflettere su questa nostra situazione, oltre che per rilassarmi. Ero giunta alla conclusione che non riuscivo davvero più a sopportare quella vita tossica.

Le volte che mi aveva umiliata

Quando gli dissi che doveva andarsene da casa lui reagì in un modo inaspettato: si mise a piangere. Mi sembrò evidente che la sua intenzione era quella di farmi provare pena per lui, probabilmente voleva spiazzarmi per farmi cambiare idea. Oppure, pensai, fu la reazione nel vedermi così determinata. Ma ormai lo conoscevo abbastanza da non abboccare all’amo. Non provavo nessuna pena, in quel momento mi tornarono alla mente le volte che mi aveva umiliata, derisa, i suoi periodi di furia incontenibile, le accuse che mi rivolgeva, le volte che mi aveva urlato addosso, che aveva scaraventato a terra con rabbia qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.. spaventando me e i bambini che (forse) non capivano cosa stesse succedendo. A causa di quegli episodi il mio sgomento era talmente forte che mi rinchiudevo in bagno a piangere in silenzio, sperando che la mia famiglia non se ne accorgesse.

Un vero interrogatorio

Rammento ancora la prima volta che mi fece sentire umiliata: non era da molto che eravamo sposati, stavo aspettando che lui tornasse a casa dal lavoro, ero affacciata alla finestra nel nostro appartamento, per strada c’era molta gente a passeggio, quando mi vide mi urlò da sotto: “Cosa fai lì, stai aspettando i fusti???” Così lui chiamava gli altri uomini. Rimasi sorpresa, ammutolita, non capivo se stesse scherzando o dicesse sul serio. Capitava a volte che camminassimo insieme nelle vie del paese, il mio paese, dove conosco praticamente tutti, e se capitava che qualche conoscente maschio mi rivolgesse un saluto allora dovevo sottopormi ad un vero e proprio interrogatorio da parte sua, il sospetto di mio marito era che io avessi conosciuto quella persona anche intimamente.

I sensi di colpa

Con quel suo atteggiamento lui riusciva a farmi sentire in colpa, angosciata, prigioniera, inadeguata in qualsiasi occasione. Capitava addirittura che controllasse il contachilometri dell’auto e volesse sapere per filo e per segno cosa avevo fatto e dove fossi stata durante la giornata, mentre lui era al lavoro.

Per avere il divorzio ci sarebbero voluti cinque anni ma lui doveva uscire immediatamente dalla mia casa e dalla nostra vita. La cosa più importante era che lui se ne andasse, che finisse quell’incubo.

Dopo la separazione, che durò cinque anni, ottenni il divorzio e da allora rimanemmo io, mia figlia, mio figlio e un cane in una grande casa di campagna che non amavo (e senza telefono). Ebbi una nuova vita, più serena: studiai per diventare infermiera, avevo il mio stipendio, la mia autonomia, grazie anche al prezioso supporto di mia madre e mio padre.
Il mio pensiero in questi anni è sempre andato a quelle donne separate di fatto, con famiglie spaccate, sole e con figli da mantenere, abbandonate ma senza tutele, e che si sono ritrovate nella mia stessa condizione prima che entrasse in vigore la legge che permetteva il divorzio.

‘Michela’ è un nome di fantasia, la vera protagonista di questa storia ha scelto di restare anonima.


Invia anche tu la tua storia qui
Home italiano – Home english