Equilibri familiari alterati: ore lente, silenzi a tavola ma forza di reagire in ‘Fuga privilegiata: diario dalla pandemia’ di Sabrina Zanaboni. Lodi, 2020

Sono le 6:45 e i miei occhi sono spalancati al punto da non battere le palpebre, non mi sento stanca ma frenetica, ansiosa. Osservo attentamente il soffitto come se ogni mattina potesse avere qualcosa di nuovo da mostrarmi. Aguzzo l’udito, sento mio padre muoversi per casa e le prime notizie del giorno risuonare dal televisore appena acceso in cucina, sono quasi sicura di riuscire a captare alcune parole della giornalista ma non ci faccio caso mentre fisso le pennellate di pittura sul soffitto illuminate dalle prime luci del giorno. La mia mente sembra destarsi quando si spegne la voce meccanica della conduttrice, sento i passi avvicinarsi al corridoio su cui affacciano tutte le camere e percorrerlo, si aprono un paio di porte, si ode il fruscio dei giubbini di mezza stagione che si sfiorano tra di loro quando qualcuno li toglie dall’attaccapanni, la chiave fa scattare la serratura, la porta si apre e si richiude. Sento il cane passare sotto la mia finestra correndo verso la porta e mio papà salutarla, poi le mie orecchie attente seguono i suoi passi che si dirigono al cancello d’entrata, lo apre e chiude velocemente.

Il contagio

Al momento tutto sembra essere nella norma, ma la giornata è ancora lunga e l’ansia di quello che potrebbe succedere inizia a farsi sentire.
Ciò che mi preoccupa di più la mattina sono le telefonate a mia madre; qualche giorno fa, dopo una telefonata che non ero riuscita captare (forse perché troppo lontana dalla mia “postazione”) è entrata in camera mia dicendo: “Hanno portato lo zio (suo fratello) in ospedale, sospettano polmonite da Covid.”. Due giorni fa invece ha aperto la porta di camera mia alle 10 “I nonni sono in ospedale, hanno solo un inizio di polmonite, ma vogliono tenerli d’occhio… lo zio deve aver attaccato il virus anche a loro, così come anche alle tue cuginette e alla zia.” Ebbene sì, in una settimana gran parte di quella famiglia che viveva tutta sotto un unico tetto si ritrovava all’ospedale, a casa erano rimaste le asintomatiche cuginette e la loro mamma.

Istinto materno o scudo?

Non mi era mai capitato di provare dell’ansia al solo squillare del telefono e ora come ora non posso mostrarla; so che se iniziassi a cedere anche io, per mia madre sarebbe la fine. Quando suona il telefono mi limito a rimanere seduta nelle vicinanze mentre lei cammina su e giù per la stanza. Sto attenta al suo tono di voce, alle parole che dice, ai suoi movimenti. Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con i miei genitori, ma in questi giorni ho litigato molto con mia mamma per il suo non saper riassumere una telefonata così importante senza minimizzare il tutto: se il medico dice “non so quando la faremo uscire, forse la settimana prossima” non significa “sta molto meglio, tra pochissimo la rimandano a casa”. Non so cosa la spinga a modificare ogni singola frase, se è l’istinto materno di evitarmi una preoccupazione o la necessità di auto-ingannarsi per arrivare ad avere una mente più libera. Mio padre è molto preoccupato per lei, pensa che stia cercando di negare a sé stessa ciò che sta succedendo, non vuole vederlo e anche ad accettarlo non ci pensa proprio; lo nasconde e va avanti come se nulla fosse accaduto, è come uno scudo, il suo meccanismo di difesa.

Ho la tenacia di mia madre

Io somiglio molto ai miei genitori: ho la tenacia di mia madre, grazie alla quale abbiamo sempre formato un grande duo durante un litigio in famiglia, e l’autocontrollo di mio padre (anche se a volte mi sono ritrovata a desiderare di aver ereditato anche la sua empatia). Ultimamente però sembro essere l’unica in casa dotata di una mente razionale e nervi saldi; sono sempre state caratteristiche per cui mi rimproveravo, ma in situazioni come questa sembrano essere le peculiarità ideali di cui il mondo intero dovrebbe essere dotato.

Mia mamma cucinava

Le serate a tavola erano ciò che più aspettavo a fine giornata: mia mamma cucinava qualcosa appena mio papà rientrava dal lavoro, sedavamo a tavola e ognuno aveva sempre qualcosa di divertente da raccontare, non c’era pesantezza, solo tranquillità, la cena era l’unico momento in cui si potevano mettere da parte i pensieri negativi e passare del tempo senza preoccupazione. Ora invece, quando vedo che si avvicinano le 20:30, so che ad attendermi in cucina ci saranno i miei genitori seduti in silenzio. L’aria pesante di mio padre è la prima cosa che noto una volta entrata nella stanza: lui che è rimasto fuori tutto il giorno per lavorare cerca di carpire più informazioni possibili da mia madre riguardo le condizioni dei suoceri e del cognato che non sente da tanto, ma lei sembra non voler preoccupare neanche lui, così si limita a dire che li ha sentiti e stanno meglio.
Le giornate scorrono lentissime, l’orologio appeso al muro sembra rallentare ad ogni mio sguardo e l’ansia è palpabile in qualsiasi momento. Si cerca di tenersi occupati ma la mente, spesso anche alla mia, tende a vagare altrove e non importa quante distrazioni io riesca a trovare. È di un’ironia quasi sorprendente il fatto che quando si cerca un minuto di pausa per poter riflettere non lo si trova mai, mentre quando si vuole a tutti i costi trovare qualcosa da fare per non dover pensare, valanghe di pensieri si rovesciano nella nostra mente rendendoci quasi inermi, paralizzate.

Emergenza sanitaria: mi sento inutile 

Passo le mie giornate dalle 7:45 alle 23 davanti al computer: scrivo, studio, leggo e partecipo alle lezioni online; ogni tanto esco per andare ad aiutare mio padre che lavora da solo nella cascina che ha ereditato da sua madre. La mia vita è sempre stata così: costellata di impegni tra la scuola, il volontariato, le ripetizioni ai bambini del paese e il lavoro in cascina, mi sono sempre data da fare e non mi è mai pesato farlo. Questa emergenza sanitaria mi fa sentire inutile, persa, come se le mie giornate non avessero un senso, come se stessi inevitabilmente sprecando tempo prezioso.
Tuttavia c’è un momento della giornata in cui riesco ad evadere da casa: abito in campagna in un piccolo paese dimenticato da Dio, intorno alla mia casa ci sono solo campi e una cascina, quindi alle 18 quando il sole inizia a calare, esco di casa e inizio a vagare su una di quelle stradine che legano un campo all’altro; è una strada privata, gli unici a passare sono mio padre e suo cugino su un trattore.

Fuga in auto, con la nonna

In quel momento non permetto ad alcun pensiero di entrarmi in testa, solo ricordi: ricordo di quando a quindici anni mio papà mi insegnò a guidare il trattore su quella strada e di come rischiammo di finire nel fosso; ricordo di quando mia madre osò buttare le rotelle della mia bicicletta azzurra e dovetti imparare, sempre su quella strada piena di buche, ad andare senza; ricordo di quando a Natale feci salire mia nonna in macchina per mostrarle che ora che sapevo guidare l’avrei portata via da tutti quei problemi che costellavano la sua vita, esattamente come le promettevo sempre da bambina: “Nonna, quando sarò grande e avrò la patente ce ne andremo insieme, scapperemo lontano solo io e te” e lei, con la voce piena di commozione rispondeva: “va bene cara, io aspetto”. La situazione attuale mi lascia un dubbio che giorno dopo giorno si tramuta in un vuoto sempre più grande: riuscirò mai a mantenere quella promessa?
Cammino, sento il vento fresco di primavera che mi impedisce di andare dritta, porta in sé il profumo degli alberi in fiore e talvolta delle pietanze che stanno per essere sfornate nelle case del paese vicino; il sole sta calando e conferisce al paesaggio un aspetto più caldo e confortevole. Lo scenario provoca una certa malinconia al pensiero che da lì a poco calerà l’oscurità e quella stessa immagine che ho davanti adesso tra non molto sarà totalmente diversa. Mi sento privilegiata mentre passeggio, penso a tutti coloro che sono bloccati in casa senza neanche la possibilità di uscire sul balcone.

Posso uscire senza paura

Mi sono sempre lamentata della mia lontananza dalla città (o dalla società civile in generale), ho sempre detestato il fatto che corrieri e postini non trovassero mai casa mia o che quando dovessi compilare un modulo una volta arrivata alla voce ‘via’ io mi trovassi sempre in difficoltà perché io non abito in nessuna via, un calvario che la gente di città non riuscirà mai a capire.
Oggi ringrazio i miei genitori perché grazie a questa posizione non sono confinata in quattro mura e quando la situazione in casa diventa pesante e ne ho davvero abbastanza dell’ansia che avverto ad ogni squillo del telefono (la stessa ansia che mi impedisce di dormire la notte) posso comunque uscire senza paura di rischiare la vita di nessuno durante la mia fuga privilegiata.


Sabrina Zanaboni : “Vivo in provincia di Lodi, frequento l’ultimo anno al Liceo Statale Maffeo Vegio e sono da sempre appassionata alla scrittura, alla lettura, all’arte e all’insegnamento.  Sin dalla prima liceo mi sono avvicinata alle tematiche riguardanti la parità di genere, partecipando a vari progetti “.


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