Per il compleanno della scrittrice, Teresa Prudente e Valentina Borla si raccontano con passione in “Studiare e insegnare Virginia Woolf: uno scambio circolare”, condividendo un seme che sta dando vita a iniziative a tutto campo

Buon compleanno, Virginia!  Per i 140 anni dalla nascita della scrittrice, che ricorrono il 25 gennaio 2022, Teresa Prudente, docente universitaria, e Valentina Borla, laureata in anglistica e docente di scuola secondaria, hanno scritto due testi profondi e appassionati sul tema “Studiare e insegnare Virginia Woolf: uno scambio circolare” .
Leggere, studiare e insegnare Virginia Woolf è un percorso di coscienza interiore, di crescita e consapevolezza personale, spesso incontenibile, creativo e dalle mille sfaccettature, che, in questo caso, conduce anche , attraverso le luci che Virginia accende dentro tutte (e tutti) noi con i suoi scritti,  ad uno spazio ‘fisico’ nel cuore della città di Torino e ad una serie di eventi, per dare la giusta “rilevanza” all’intellettuale e saggista inglese.

“Studiare e insegnare Virginia Woolf: uno scambio circolare” Teresa Prudente

“And to follow her thoughts was like following a voice that speaks too quickly to be taken down by one’s pencil” [e seguire i suoi pensieri era come seguire una voce che parla troppo veloce perché con una matita si possa prenderne nota]. Virginia Woolf, To the Lighthouse 

“Come spesso mi succede, per il vortice di ciò che penso e sento e vorrei cercare di comunicare, c’è una frase di Virginia Woolf in cui tutto già si è distillato, individuando l’esatta sensazione con le più esatte parole – di più, con un giro di frase che è la sensazione stessa, che la ricrea in un’orchestrazione di tutti i livelli del linguaggio: il lessico, la sintassi, la punteggiatura (o la sua assenza) – riproducendo, in questo caso, con la corsa inarrestabile della frase, la corsa interconnessa dei pensieri. Così, questa frase ha cominciato a farsi strada, e poi a ripetersi con sempre maggiore insistenza, mentre pensavo a come rendere, almeno in parte, la mia esperienza – complessa, sfaccettata, emozionante – di insegnare Virginia Woolf. La prima sensazione, dunque, è quella di incapacità. Non dissimile all’implicito fallimento, ai limiti intrinseci di cui siamo consapevoli quando traduciamo, ed essendo infatti anche quella dell’insegnamento un’operazione di trasferimento, di traghettamento. Di più, un altro elemento, fondamentale, accomuna l’insegnamento alla traduzione, ed è la retrocessione, necessaria, dell’io (“the damned egotistical self” lo chiamava Woolf), perché nel traghettamento sono i due poli da congiungere – il testo e chi lo riceve – ad essere importanti, a dovere e potere parlare da sé, e il vettore, credo, un mezzo il meno ingombrante possibile.

“Sfida contro i limiti del linguaggio”

Ma tornando all’incapacità: quella di Woolf è stata una sfida costante contro i limiti del linguaggio, una sfida – vinta, anche se lei troppo spesso sentiva che non era così, e ripartiva, alzando la posta in gioco – per estendere un po’ i confini stretti che, proprio come nella sensazione di Lily Briscoe inTo the Lighthouse, rendono il linguaggio inadeguato – troppo lento, o categorico, o approssimativo – a cogliere la moltitudine di sensazioni e pensieri che ci attraversa in un singolo momento di un giorno qualsiasi (la “miriade di impressioni”, la “pioggia di atomi che cadono su di noi”). Sappiamo che è una sfida vinta non perché è diventata un classico, entrando nel canone della letteratura (più tardi dei suoi colleghi contemporanei uomini, va detto…), non perché sta nei libri di testo, ma per una sensazione molto più semplice, istintiva, viscerale: perché tanti e tante di noi sentono, leggendo i suoi testi, che lì c’è qualcosa che ci riguarda, nel profondo, qualcosa che, fino a quel momento, il linguaggio non era ancora riuscito a rendere, fermare, ricreare con un’esattezza tale da portare noi lettori e lettrici a sperimentare, o risperimentare, la sensazione mentre leggiamo.

Menti interconnesse

Come rendere, dunque, tutto ciò, o, perlomeno, come essere un po’ meno manchevoli, se abbiamo il privilegio, la fortuna, di farci mezzi di navigazione, per studenti e studentesse, nei testi di Woolf? Come superare quella sensazione, di cui parlavo all’inizio, di rincorrere invano, cercando di fermare, ordinare e presentare in maniera chiara ciò che è intricato, stratificato, multidirezionale? Ci sono gli elementi concreti – la vita, il circolo di Bloomsbury, le influenze, le specifiche della sperimentazione – e sono fondamentali; tutto il resto, credo, è nei testi stessi: non solo i romanzi e i racconti, ma i saggi, il diario, le lettere, fino alla più veloce nota di lettura. Tutto si tiene insieme, solido ma mobile, in una grande impalcatura che costituisce quel sistema sottilmente interconnesso a cui così tante volte Woolf allude nella sua scrittura: il pattern “dietro l’ovatta della vita”, quell’“alone luminoso che ci circonda dall’inizio alla fine della coscienza”. Ma questa idea dell’interconnessione ci riporta all’altro polo, a chi riceve il testo, perché, lo sappiamo bene, l’altra idea cardine, quella che Woolf cerca di riprodurre in ogni sua opera, è quella sottile e silenziosa comunicazione fra le menti.

La “rilevanza”di Woolf

E questo è ciò che trasforma, in un momento, l’impresa ardua, e direi anche proprio impossibile, di “insegnare” Virginia Woolf nella più naturale e fluida delle operazioni. Perché, regolarmente, trovo studenti e studentesse già pronti, senza remore, a immergersi in quei meandri che Woolf ha costruito – ma che sono quelli della nostra coscienza, e perciò ci sono familiari – per vederli riemergere avendo scovato, sedimentato in quel testo, ciascuno e ciascuna una cosa diversa. La meraviglia di insegnare Virginia Woolf è, per me, vederla continuamente moltiplicarsi: ciascuno studente, ciascuna studentessa, segue un percorso diverso, e tuttavia tutti i percorsi sono accomunati non solo dalla passione – netta, pura, senza compromessi – ma anche da una convinzione di base, che traspira in tutto ciò che percepisco da loro, e che è del resto proprio ciò che il Virginia Woolf Project ha colto: la rilevanza di Woolf. È rilevante, ci torna in mente, ci sentiamo meno chiusi nella solitudine di ciò che non riusciamo o non possiamo comunicare, in mille aspetti della nostra vita quotidiana: in ciò che ha scritto sulla condizione femminile, sugli stereotipi, di genere e culturali – e che è purtroppo ancora così attuale –, nella nostra difficoltà di trovare le parole per ciò che pensiamo e sentiamo, nelle nostre sensazioni più sottili, nella difficoltà di fermare il “momento di essere” avvolto, attutito, nei ben più numerosi “momenti di non essere”, nel nostro desiderio di trovare forme di condivisione e comunicazione reale, sostanziale.

Dal lockdown ai Giardini Virginia Woolf a Torino? Una ‘Passeggiata’

Valentina Borla si è laureata nell’aprile del 2020: eravamo in lockdown e la sua sessione di tesi è stata la prima che abbiamo svolto a distanza. Un paradosso amaro, e in un doppio senso: perché nel suo lavoro Valentina aveva voluto costruire un percorso, nei testi di Woolf, che rintracciasse i significati, le implicazioni, dell’appropriazione, da parte delle donne, degli spazi – il muoversi liberamente, senza meta, assorbendo gli stimoli – che era canonicamente attribuito al flâneur (uomo). Ma, in quel momento, lo spazio, per ciascuno di noi, era necessariamente circoscritto a quello domestico, gli stimoli, le opportunità, la costante sorpresa del mondo esterno non solo svanite ma trasformate in costante minaccia incombente. Il secondo paradosso riguarda l’intimità, altra parola cara a Woolf. La tesi di Valentina si era chiaramente nutrita di una passione divorante per Woolf – ricordo, per esempio, agli inizi del lavoro, il racconto del suo viaggio a Londra e il pellegrinaggio nei luoghi woolfiani – e da ogni sua riga di tesi traspirava qualcosa di intimo, personale che, si percepiva, Valentina, seppure velatamente, con delicatezza, aveva urgenza di comunicare. E questa è la sensazione più bella, e non infrequente, che ci capita di rintracciare in studenti e studentesse. Ma, lo sappiamo, per averne parecchio sofferto, noi docenti come gli studenti e le studentesse, nello scambio a distanza, attraverso il filtro di uno schermo che ci rende tutti un po’ deboli e irreali fantasmi di noi stessi, quello scambio reale, intimo, di concreta condivisione si va raggelando e prosciugando.

Sulle vie della parità e i 140 anni dalla nascita di Virginia Woolf

Ed è grande merito di Valentina, e di chi l’ha sostenuta nel progetto per il concorso “Sulle vie della parità”, avere, letteralmente, ridato vita anche a quel momento, a quelle ultime fasi di redazione della tesi e di discussione, vissute in maniera così irreale e proprio in quella mancanza di contatto e scambio che a Valentina, era chiaro, stava così a cuore ed era l’essenza stessa di ciò che aveva cercato nei testi, e nella figura, di Woolf. Tutto il progetto di Valentina si basa infatti sulla condivisione: quella di uno spazio concreto, reale, presso i Giardini di via Bertolotti, a Torino, intitolato a Woolf, che crea una traccia indelebile di tutto il percorso che Valentina ha compiuto nei testi di Woolf e di cui tutti e tutte noi possiamo diventare parte, ma anche di uno spazio immateriale, quello della condivisione proprio della rilevanza di Woolf, a cui, con Valentina, stiamo cercando di dare forma con un programma di incontri che rifletteranno, a partire dai testi di Woolf, su questioni attuali e determinanti (lo spazio, reale e metaforico, delle donne; il linguaggio e le discriminazioni di genere; l’appropriazione da parte delle donne dello spazio urbano, con i limiti ancora presenti in termini di stereotipi e sicurezza).

“Come se letteratura non coincidesse con la vita stessa”

A ripensare a tutto ciò che è successo, con la tesi di Valentina e la sua strabiliante afterlife, sono consapevole di sperimentare un privilegio che molti colleghi e colleghe meriterebbero, e che vorrei perciò con loro condividere; chi insegna e studia materie umanistiche si sente troppo spesso relegato allo stereotipo di una attività “bella” e inutile – come se la letteratura, per prendere il nostro caso, non coincidesse con la vita stessa, della vita stessa non ci parlasse, e alla vita stessa non ci educasse, allenasse, con costanti strumenti per interpretare e dare senso a ciò che siamo, siamo stati e possiamo diventare (o no). Di più, sono anche consapevole che, nel separare le due attività, insegnare e studiare, di nuovo compio – come succede nell’isolare i diversi elementi nella scrittura di Woolf – un’operazione impropria, rendendo separate e consecutive due cose che, in realtà, sono

“come acque versate in unico recipiente, inestricabilmente la stessa cosa” (To the Lighthouse).

Teresa Prudente


“Studiare e insegnare Virginia Woolf: uno scambio circolare” Valentina Borla

“Virginia Woolf non è un’ospite da accogliere alla porta e far accomodare con riverenze e buone maniere ingombranti, per il tè delle cinque – come farebbe la perfetta donna di casa in Epoca Vittoriana, preparandosi al rito del tea-table training. Tanto meno quel parente che fa visita una volta l’anno, avvisando un’ora prima – magari sotto le feste di Natale – giusto per sentirsi in pace con se stesso o se stessa, per aver fatto una buona azione.

Woolf non avvisa, non bussa, non chiede il permesso affacciandosi alla porta. Quando la si incontra e la si accoglie nella propria libreria personale, lei si fa spazio con silenziosa prepotenza; poi, dopo aver preso un po’ di confidenza, sfila via la sedia su cui, abitualmente, ci si affossa in tutta comodità mentre si sta leggendo. Un’ospite terribile, a ben vedere, che molti si guarderebbero dal far entrare in casa.

Eppure, come ogni incontro che cambia le proprie prospettive e dimensioni, segna una nuova tappa del percorso esistenziale del lettore o della lettrice che guarda ai suoi scritti con curiosità, interesse e – perché no – un pizzico di scetticismo iniziale di fronte a una coscienza complessa e variopinta, a una mente brillantemente animata e appassionata della vita, e di questa nel momento in cui diventa narrazione, al di là di convenzioni e sovrastrutture.

Dunque, scrivendo fuor di metafora, cosa significa incontrare Woolf oggi, durante il proprio percorso di studi universitario? Avvicinarsi al modernismo inglese da studenti e studentesse di letteratura e critica letteraria è sempre una sfida, anche durante il corso di laurea magistrale. Per orientarsi nei testi di Woolf è necessario abbassare le barriere, saper accogliere – per tornare all’immagine in apertura – ma, soprattutto, aprirsi al dialogo, sia intertestuale, sia interpersonale. L’interpretazione e l’analisi dei testi portano, inevitabilmente, a un confronto che implica decostruzione e ri-costruzione su più livelli, in un passaggio di consegne ed esperienze da una generazione di studiosi e studiose a quella successiva.

Borla racconta la sua ‘flânerie’ con Virginia

Questo crocevia di esperienze che ha iniziato a intrecciare il mio vissuto è nato proprio dalla trasmissione di conoscenza appassionata e dalle piccole-grandi connessioni con i testi e con chi trascorre la propria vita a leggerli e interpretarli. Così è iniziato il mio percorso con Woolf, a Torino, durante il corso universitario tenuto dalla Prof.ssa Teresa Prudente, principale fonte di ispirazione che ha acceso in me quella che ho percepito come un’esigenza sempre più stringente di dedicarmi agli scritti di Woolf. Successivamente, seguendo il mio istinto di ricercatrice alle prime armi, ho fatto le valigie: mi sono spostata prima a Bologna e a Monza per seguire conferenze sui suoi scritti, poi a Londra e nel Sussex, nella ventosa estate inglese del 2019.

Da questo momento in poi risulta davvero complicato per me segnare un confine preciso tra ricerca accademica e vita personale: quello che avrebbe dovuto essere un percorso letterario e di ricerca ha finito per coincidere – sorprendentemente – con un continuo flusso di connessioni tra pensieri erranti e i luoghi di vita dell’autrice di cui stavo leggendo e scrivendo.

Ed è così che, analizzando i passi in cui i personaggi si concedono attimi di flânerie – passeggiate in cui la loro coscienza si sovrappone al panorama cittadino londinese e ai prati biondi della campagna inglese- mi sono ritrovata a vivere in prima persona e a camminare per le strade che ha attraversato Virginia o Katharine, Mary, Clarissa, Orlando, anche se (quasi) un secolo dopo.

Monk’s House, Rodmell (Sussex), 18 agosto 2019

Cara Virginia, non mi sono mai sentita così vicina a te come in questo momento.

Ti sento nel vento, ti sento vivere, respirare in ogni foglia che si muove in questo giardino che tanto hai voluto, curato e amato.  Vive ancora la tua memoria, splende oggi come non mai, tra queste pagine che volano nel vento, nel petto di una giovane studentessa in terra straniera. […]

Domani sarò sulla via del ritorno, consapevole che condividiamo molto di più della stessa lettera iniziale e finale del nome. Qualcosa mi ha portato qui. Connessioni, destino, la profondità che in te ho saputo cogliere. Somiglianze e sorellanze. […]

Con te ho intrapreso un viaggio, uno di quelli senza destinazione, ma che accompagnano per tutta l’esistenza; breve o lunga che sia, è pur sempre energia, continua metamorfosi. Cercherò nelle tue pagine altre risposte alle mie ingenue e acerbe domande; cercherò in te l’esempio positivo, l’ispirazione, lo stile.

Ora mi abbandono a questo vento, a questo raro calore inglese di agosto. Ti regalerò il mare, quando lo vedrò, così che tu possa sentire le onde ancora una volta. Una tua lettrice, V.

Un percorso letterario che diventa un viaggio spirituale, trascendentale – nel senso più laico dei termini. Se è vero che le parole sopravvivono a chi le scrive, esse si affermano come testimoni di un passato e di un vissuto che, tuttavia, per essere rievocati in un nuovo presente, necessitano di un’interiorizzazione da parte di chi si pone come interprete. Su questa linea, mi sono ritrovata a seguire le impronte dell’autrice esaminando proprio l’esigenza di autodeterminazione dei personaggi femminili woolfiani nello spazio metropolitano di inizio Novecento, indagando alcune dinamiche installate su paradigmi socio-linguistici e culturali ancora attuali.

Emancipazione femminile

Queste riflessioni abbracciano da vicino il tema dell’emancipazione femminile, arrivando a toccare fenomeni di violenza fisica e psicologica di cui sono vittime le donne per strada – tra cui stalking, catcalling e body shaming – che innestano le loro radici sulla società contemporanea -reale e virtuale insieme. Per questo risulta fondamentale affrontare queste tematiche già a partire dalla scuola secondaria, in modo che le nuove generazioni acquisiscano, tramite la lettura guidata e l’analisi di stereotipi sessisti, gli strumenti per indagare la realtà tramite la letteratura.

Da poco entrata nel mondo dell’insegnamento, mi sono subito trovata di fronte a una prima grande prova. Come rispondere alla domanda posta dai miei alunni di seconda media, che per la prima volta si sono accinti allo studio della materia: «Prof., perché si insegna la letteratura? A cosa serve?». Difficile reagire prontamente ma, come una collega mi aveva (saggiamente) suggerito, la risposta non avrebbe potuto che essere la seguente:

«Vedete ragazzi e ragazze, gli insegnanti sono progettisti, forniscono strumenti e si pongono come aiutanti per portare alla luce nuovi stimoli, nuove idee. Per esempio, se non ci fosse nessuno a spingervi alla necessità di costruire un ponte che colleghi due argini di un fiume, per oltrepassarlo, rischiereste di rimanere sempre fermi lungo la stessa sponda. Se, invece, qualcuno facesse sorgere in voi un dubbio, una nuova esigenza per attraversare più facilmente l’acqua che scorre, riuscireste a creare nuovi collegamenti, forse anche altri a cui il vostro insegnante non aveva il coraggio di guardare».

“La letteratura per costruire ‘corridoi'”

Non è scontato sottolineare come la letteratura, in quanto riflesso della vita nella narrazione, possa (anzi, in chiave tutto fuorché pretenziosa, debba) costruire ponti, lunghi «corridoi» che uniscono menti, città, culture differenti. Quella dei corridoi come narrative linkers è un’immagine woolfiana particolarmente esemplificativa («such is my brain to me; lighted rooms; and walks in the fields are corridors», A Writer’s Diary, 15 Agosto 1924) che sintetizza come proprio nell’atto della passeggiata inizino a diramarsi collegamenti tra le «stanze luminose» accese dall’ispirazione poetica. 
Processo narrativo e apprendimento si pongono quindi entrambi come passeggiate intellettive, esperienze nate dall’intuizione, da una rete, quell’immagine multicamerale che necessita di attivare dei contatti per potersi “illuminare”.

140 anni dalla nascita di Virginia Woolf: a Torino l’intitolazione di una Passeggiata

Su questa linea, grazie alla rete di donne lettrici ed esperte di Woolf che si è venuta a creare, il mio progetto di tesi si è legato prima a un’idea nata dalla collaborazione con il Virginia Woolf Project – la partecipazione al bando Sulle vie della parità indetto da Toponomastica femminile-, poi a un risultato eccezionalmente concreto, tangibile – l’intitolazione dei Giardini di via Bertolotti di Torino a Virginia Stephen Woolf.

Rileggendo a posteriori la lettera scritta nell’estate del 2019 a Monk’s House, posso dire che il mio viaggio abbia raggiunto,  anche per la determinazione mia e di altre realtà femminili (tra cui Se non ora, quando? Torino, Virginia Woolf Project e la stessa Toponomastica femminile), una sua felice destinazione. Un traguardo che congiunge urbanistica e studi di genere, cittadinanza e ambiente scolastico-accademico, per riconoscere il contributo delle donne al nostro panorama culturale, assegnando loro uno spazio in quei luoghi cittadini dove oggi passeggia – e passeggerà – la nuova generazione di flâneur e diflâneuse”.

Valentina Borla


Altri articoli di Valentina Borla su Virginia Woolf Project:

A Street of One’s Own – Valentina Borla
Virginia Woolf, la sua passeggiata creativa e liberatoria protagonista a Torino
Margherita e la finestra blu

 

Teresa Prudente è Professoressa Associata di Letteratura inglese presso l’Università degli Studi di di Torino. Si è occupata fin dall’inizio della sua attività di ricerca della scrittura di Virginia Woolf, che studia e indaga da varie prospettive (interdisciplinari, stilistiche, narratologiche), così come di altri autori ed autrici del Modernismo in lingua inglese (Joyce, Mansfield, Bowen). Ha anche curato e tradotto W. Shakespeare, I due nobili congiunti (Bompiani, 2015).


Valentina Borla, 27anni, di Torino, è laureata nel corso di laurea magistrale in Culture Moderne Comparate all’Università degli Studi di Torino con la tesi in letteratura inglese “Virginia Woolf: a street of one’s own” . Attualmente lavora come docente di lettere nella scuola secondaria e frequenta il Master MITAL2 Didattica dell’italiano per stranieri. Appassionata di viaggi, di letteratura, arte e fotografia, nel tempo libero scrive racconti e poesie. Il suo blog è scrivosoloquandopiove.wordpress.com


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