L’Università di Torino ha ottenuto contributi dalla Fondazione Crt per il progetto di ricerca, collegato all’intitolazione della Passeggiata alla scrittrice inglese e alla tesi di laurea di Valentina Borla sulla ‘flâneuse’, per sondare il rapporto tra “donne e spazio urbano”, tra letteratura e realtà

Uno studio condotto da UniTo (Università di Torino), grazie ai contributi della Fondazione Crt, analizzerà Virginia Woolf e i cento anni di libertà percorsi dalle donne attraverso la figura della ‘flâneuse’, già nella tesi di laurea della ricercatrice Valentina Borla, che ha portato, col Virginia Woolf Project, Se non ora, quando? Snoq Torino e Toponomastica femminile all’intitolazione di una ‘Passseggiata Virginia Woolf’ nel capoluogo piemontese. Lo scopo sarà sondare il rapporto tra “donne e spazio urbano”, tra letteratura e realtà. Ce ne scrive Valentina Borla:

“Non ho mai creduto alle coincidenze generate dal caso, al volteggiare amorfo degli eventi, a sequenze alternate di io contrapposti al tu. Sono gli incontri – credo di esserne certa – a cambiare le carte in gioco: a scoprirle, a rimescolarle, a determinare il corso delle nostre vite.

Senza perdersi in lirismi ornamentali e idolatrie, di qualsiasi natura esse siano, di fronte a un esempio così lampante come il mio, non si può che riconoscere e accettare il fatto che esista una trama silenziosa e soggiacente, una sorta di deus/dea ex-machina – siate liberi di figurare il genere che preferite, sempre che un genere ce l’abbia.

18 agosto 2019, Tavistock Square, Londra

Per me tutto ebbe inizio il 18 agosto del 2019 a Tavistock Square, nel cuore del quartiere di Bloomsbury, a Londra. 25 anni compiuti da due giorni; sola, in una delle metropoli più vivaci e meno accoglienti del globo (forse è proprio questa natura ossimorica a renderla così dannatamente stimolante).

Quel giorno, prima di spostarmi con il treno nel Sussex, andai a comprare un mazzo di margherite fresche, bianche, in un chioschetto vicino al college che mi ospitava per due settimane.

Mrs Dalloway said she would buy the flowers herself. Il mio desiderio, quel giorno, era proprio quello di rendere il più possibile reale la prima riga del romanzo che mi aveva portata Oltremanica: in quel quartiere, in quel college, in quella piazza, durante l’estate in cui ogni mia zona di comfort andava demolita, riscostruita e ogni luogo – fisico e immaginario – risemantizzato.

Immedesimandomi in quello she, comprai i fiori e li lasciai di fronte al mezzo busto di bronzo dal profilo aquilino, forse coi lineamenti un po’ snaturati, che riporta il nome di Virginia Woolf.

Era una giornata bellissima, molto soleggiata; piuttosto fresca per essere agosto, ma assolutamente in linea con il clima londinese. Quel London; life; this moment of June mi sembrò così vicino in quell’agosto, così concreto, così – quasi spaventosamente- vivo, presente (e la presente e viva e il suon di lei, scrive Leopardi).

Le distopie del Ventiventi

Quell’estate mi attendevano ore di ricerca, letture di saggi, percorsi da individuare, mappature da seguire. A pochi mesi dalla laurea magistrale, durante il mio viaggio letterario, tutto mi sembrava possibile e inaccessibile insieme; ancora non sapevo che la stagione successiva avrebbe sconvolto i piani: miei, quelli di qualsiasi persona sulla Terra.

Forse le connessioni percepite in quella fresca giornata estiva non mi sembrerebbero ora così vicine e reali se non avessimo assistito alle distopie del Ventiventi, chi può dirlo.

Le passanti woolfiane

Camminai sui passi di Woolf, io che dei suoi passi ero interprete e stavo scrivendo. Ecco, fu lì che incontrai la flâneuse: dove la letteratura frammenta e ricalca il ritmo incessante della metropoli, la coscienza femminile si specchia nella casa di mattoni in fondo alla via, negli sguardi dei passanti. Dove i confini del corpo si dissolvono e quelli della mente si fanno carne, fondendosi necessariamente con l’altro da sé, l’ignoto su cui si inciampa.

Mi appassionai così prepotentemente alle passanti woolfiane, che finii per diventare una di loro. Lo sono ancora, seppur sia tornata a Torino e abbia ben presente quali siano le coordinate e le sfide del mondo reale.

Figlia di una generazione che partorisce cervelli in fuga, rincorre lauree a più non posso e invia curriculum nel bel mezzo di una pandemia, mi è fin da subito arrivato in modo chiaro il messaggio secondo cui oggi, alla mia età, sembra si debba necessariamente fingere accogliente un panorama lavorativo inospitale, dimostrare che le nostre idee siano più originali della concorrenza, inventarsi un lavoro da sé; quasi come se la tolleranza di tutta questa pressione sia la chiave per il successo, l’episteme necessaria – unica e sola – a nobilitare l’essere umano.

Accendere lampadine e idee

Le prime lampadine che riuscii ad accendere, inizialmente, furono quelle della nuova casa in centro a Torino – presa in affitto in un giorno di zona arancione o gialla, non ricordo quale fosse di preciso la restrizione in vigore in quel momento.

Qui ha avuto inizio la seconda parte della storia, credo la più sorprendente.

Sì, perché a volte sono gli eventi stessi a trascinare il o la protagonista della storia senza che si abbia il tempo o la consapevolezza per fermarsi a scriverli, appuntarli. Accade così che per l’autore o l’autrice della narrazione sia sufficiente impugnare la penna, e l’inchiostro, di conseguenza, sembra scorrere da solo. È solo allora che si comprende quanto le idee che possono fluire libere, in modo naturale, senza forzature e committenze, vadano controcorrente e profumino di rivoluzione.

Tavistock square, Torino (o quasi)

C’è un posto a Torino che somiglia oggi, in tutto e per tutto, alla Tavistock Square del 2019.

Ogni cosa è irrimediabilmente cambiata per me, ma vi garantisco che i Giardini di via Bertolotti, a Torino, ricordano quel tratto di strada tra Russell Square e King’s Cross in cui passeggiavo quasi quattro anni fa.

Il nome di Virginia Woolf e i passi dei suoi personaggi femminili risuonano in ogni angolo liberty di questa passeggiata, nel centro del capoluogo piemontese. Quando mi fermo ad ascoltarli, ripenso a tutta la strada percorsa fin qui, che ha legato luoghi distanti e voci sorelle: da un corso universitario a un romanzo che cambia le chiavi di lettura; da una tesi di laurea magistrale a un’intitolazione femminile – dei Giardini di via Bertolotti a Woolf, appunto.

Poco dopo il trasloco, nella primavera del 2021, con il supporto del Virginia Woolf Project e SNOQ Torino, ho candidato la mia tesi di laurea “A Street of One’s Own”: lo spazio della flâneuse in Virginia Woolf all’VIII bando “Sulle vie della parità”, indetto dall’associazione nazionale Toponomastica femminile.

Connessioni ‘brillanti’

Un progetto in cui tanto ho creduto e che sta seguendo dei percorsi inattesi, dando vita a scambi ed estendendo reti che si sono create (e continuano a crearsi) intorno a me, accendendo connessioni che mai avrei immaginato.

Dopo una discussione di laurea tra le quattro mura di casa, dal profumo dolce di lievito e quello pungente di disinfettante, il mio progetto ha sorprendentemente ripreso vita e ha iniziato a brillare di luce propria – glittering, come Clarissa.

In rapida successione, prima che avessi il tempo per una – anche piccola – presa di coscienza, sono arrivati i contributi della Fondazione CRT all’Università di Torino per il progetto, collegato all’intitolazione, “Cento anni di flânerie al femminile. Donne e spazio urbano dal testo letterario all’esperienza contemporanea”, di cui la responsabile scientifica è la prof.ssa Teresa Prudente.

Da qui la possibilità di continuare in ambito accademico come borsista di ricerca.

Il punto cardine del progetto, che io ritengo un privilegio, è quello di unire più fronti della didattica e gradi d’istruzione agli eventi rivolti alla cittadinanza.

Insieme alla prof.ssa Prudente e ai/alle docenti che hanno preso parte al team di ricerca, stiamo lavorando per far conoscere gli esiti concreti a cui può giungere la letteratura nel momento in cui diventa esperienza e memoria collettiva.

Ecco, questi sono i casi in cui ci si sente in qualche modo parte di un qualcosa di più grande, oltre se stesse, oltre le aspettative e le pressioni sociali cucite addosso a una generazione, a una ragazza che insegue la donna che sarà. Ciò che dà valore a un’esperienza personale, che ha senso proprio perché condivisa, ma anche – e felicemente– concreta, tangibile. Come un seme in terra fertile da cui ogni cosa può (ri)nascere.”


www.flaneuse.unito.it


Valentina Borla, 27anni, di Torino, è laureata nel corso di laurea magistrale in Culture Moderne Comparate all’Università degli Studi di Torino con la tesi in letteratura inglese “Virginia Woolf: a street of one’s own” . Attualmente lavora come docente di lettere nella scuola secondaria e frequenta il Master MITAL2 Didattica dell’italiano per stranieri. Appassionata di viaggi, di letteratura, arte e fotografia, nel tempo libero scrive racconti e poesie. Il suo blog è scrivosoloquandopiove.wordpress.com


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